UN BRINDISI PERLINATO ALLA GRANFONDO
Nel giorno dell’inizio della vendemmia si è svolta la granfondo che attraversa le colline del prosecco, alla scoperta di un luogo dove l’architettura del paesaggio mostra secoli di lavoro e passione. La stessa passione che gli organizzatori mettono nella Prosecco Cycling che rappresenta sempre più una voce fuori dal coro delle prove amatoriali.
Giri a destra e te lo trovi lì davanti, sulla tua verticale. Una lingua grigia che taglia i vigneti su per la collina, cresciuti nei secoli su pendenze impossibili. Dritto per dritto, verso il cielo al 20 per cento. Il suono dei cambi che scalano su rapporti più agili sono inconfondibili, è tutto un tic trac tek toch tik…, rumori che zittiscono anche i più chiacchierini dei ciclisti. Sul muro di Ca’ del Poggio c’è poco da fare gli spiritosi, e non serve neanche tanta tecnica: bisogna solo menare le gambe, spingere più che si può e sperare che duri solo qualche centinaia di metri. Qualcuno davanti a noi disegna zigzag improbabili, mentre altri, dai polpacci sottili e nervosi, fanno lo slalom tra questi aspiranti grimpeur. La strada è abbastanza larga da accogliere una gran quantità di ciclisti, che sperano in paradiso ci sia posto per tutti. E il paradiso arriva presto, perché dopo un’altra impennata verso est, i volontari dividono i buoni dai cattivi, mandando i primi al ristoro a fianco del ristorante che porta il nome del Muro, mentre i secondi li dirottano a occidente verso la seconda parte del muro. Noi siamo del primo gruppo, quelli che vedono il ristoro come un miraggio, di certo non per la sete vista la pioggia che ha deciso di perseguitare le ultime edizioni della Prosecco Cycling, ma per vedere se è proprio vero che al ristoro di Ca’ del Poggio offrono gamberoni e, ça va sans dire, prosecco. Confermiamo: tutto vero! Oltre 80 chili di scampi, ci diranno nel dopo gara.
Vedere ciclisti partecipanti a una granfondo impugnare un calice di bollicine con la destra e lottare con un gamberone con la sinistra è qualcosa che fa sorridere: un gruppo di impediti al mio fianco si sono organizzati con uno che “sbuccia” gli scampi per tutti e li nutre direttamente dalle sue dita alle bocche dei compagni. I compagni, gli reggono il calice e ad ogni boccone lo ringraziano dissetandolo come un bimbo.
Ci sono poi i sorrisi di Justine Mattera (qui a fianco nella foto) che con il suo splendido accento americano da’ la carica alla partenza tramite il microfono dello speaker; e l’onnipresente Claudio Chiappucci, reduce da una gara su Monte Ventoux che ormai rappresenta l’essenza del ciclismo amatoriale.
Il clima è di pieno relax, perché in fondo le velleità agonistiche alla Prosecco Cycling, sono state rivisitate. La soluzione della classifica finale ottenuta sui tempi cronometrati di tre o quattro salite, consente di “sgasare” sulle ascese e di aspettare soci e compagni, in cima, dopo aver passato il tappeto del chip. E normalmente dopo il tappeto c’è quasi sempre un ristoro, proprio come questo del muro. Le bici appoggiate di lato, i ciclisti bagnati e con ancora il fiato corto per aver conquistato la prima salita, gli astanti si avvicinano al banchetto nuziale del ciclismo amatoriale dove selfie e cin cin si mescolano alle gocce di pioggia. A volte capita di incontrare qualche vecchio amico del Veneto (“…di certo non mi faccio mancare la più bella granfondo della mia regione, ciò”) o di trovare quel gruppo di ragazzi che avevi conosciuto il giorno prima alla degustazione di una delle centinaia di cantine dell’area DOC del Prosecco. Insomma, la cronaca di una bella giornata.
Pulite le dita dai resti degli scampi, e con le bollicine che ancora frizzano nel palato, è tempo di ripartire, perché non siamo neanche alla metà della Prosecco Cycling e ci aspettano ancora degli strappi a cui non conviene dare del tu, ma che ci invitano a fermarci a contemplare il paesaggio. Filari colmi di grappoli di vitigno glera che tra poco si trasformeranno in nettare perlinato sulle nostre tavole. L’uomo come architetto del paesaggio, scultore della terra che lo nutre. Si pedala in un eden verde cinabro, tra colline striate di filari e contadini che sono indifferenti alle centinaia di biciclette che transitano davanti ai loro poderi, intenti come sono a preparare i trattori nella giornata che da il via alla vendemmia.
Ancora una salita (il Collalbrigo) e un’altra ancora (Collalto), ma il bip dei tappeti è solo una formalità, perché ciò che conta è cercare il campanile di Valdobbiadene, lo stesso che ci ha visto partire questa mattina e che sarà testimone anche del nostro arrivo. Ed è proprio all’arrivo che si consuma un altro straordinario rito: sotto la regia di Massimo Stefani (un sognatore, uno degli ultimi rimasti…) gruppi organizzati di ciclisti tagliano la linea del traguardo uniti in un unico plotone. Da una parte c’è in palio, per il gruppo più numeroso, una fornitura di 60 bottiglie di prosecco, che non fa mai male, ma dall’altra c’è l’idea di una nuova visione delle granfondo: rinverdire quello spirito aggregante che i padri fondatori delle granfondo avevano concepito negli anni 80. E che oggi, grazie alle bollicine del prosecco, è tornato a rivivere. Evviva, e noi brindiamo a questo spirito.
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Photo credi: Getty Images/Bellini/De Bortoli
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