PUO’ UN AGGETTIVO ISPIRARE UN SORSO DI MOUNTAIN BIKE…?
Siamo andati a fare un sopralluogo a qualche tratto di percorso della Granfondo KASK Soave MTB in programma nel comune veronese il prossimo 27 maggio, e abbiamo scoperto un territorio fatto di panorami da incorniciare e dolci colline dove la regina incontrastata è la vite. Qui si produce il Soave, e solo questo basterebbe per mettere in agenda la diciottesima edizione della gara.
Come attributo mi piace molto, anche se non frequenta il mio vocabolario. Indica qualcosa di teneramente dolce e gradevole ai sensi: soave alla vista, soave all’udito, soave al gusto. Quando poi diventa sostantivo allora mi piace ancor di più: Soave inteso come vino bianco dal sapore asciutto e amarognolo, di aroma delicato, e naturalmente prodotto nell’omonima zona collinare. Dove? Nel veronese, c’è persino un casello autostradale sulla A4 Milano Venezia che lo indica.
Girando tra dizionari vari trovo che soave può anche intendersi non aspro, non faticoso, persino leggero o leggiadro, e in quello Hoepli si cita persino il Boccaccio: “Tranquillo, calmo: con soave passo in cammino si misero”. Ma tu pensa. E il percorso della Granfondo Kask Soave che si terrà qui a Soave, sarà esattamente così: non aspro, non faticoso, soave appunto, con (solo) 50 chilometri e (solo) 1.600 metri di dislivello. Vi sono gare di mountain bike ben più impegnative, che fanno della durezza la loro ragione di vita.
Qui no. Qui è tutto un po’ diverso. E te ne accorgi quando inizi a pedalare partendo dal borgo di Soave che è un gioiello di memoria storica del nostro Paese: una cittadina medievale racchiusa in una intatta cinta muraria che risale fino alla cima del colle sovrastante, dove svetta il Castello. Posti così belli in Italia ce ne sono centinaia, persino troppi, e spesso quando si è “ricchi” non si apprezzano le singole bellezze, ma questo è un altro problema. Dentro le mura ci sarà partenza e arrivo della gara di domenica 27 maggio, e già mi immagino l’atmosfera…
Da qui, 1.500 biker (non uno di più…) partiranno per sfidarsi in un percorso verso nord che arriva a sfiorare le pendici dei monti Lessini, passando attraverso contrade, castelli e distese di vigneti. Di Soave appunto. E così siamo andati alla scoperta di questo tracciato, che già dopo i primi colpi di pedale conferma le aspettative di un luogo straordinariamente bello. E per aiutarmi a capire la morfologia, Guido (che della ASD Ciclisti Soave è il presidente) mi descrive la sequenza delle valli in modo originale ma certamente facile da capire: «Sono vallate parallele, un po’ come le dita di una mano…». E in effetti il territorio intorno a noi è un disegno di colline pettinate: le vigne ad aprile sono spoglie, i contadini hanno finito da tempo la potatura e tutt’intorno sembra di vedere spazzole capovolte. A Guido che ci guida (…questa potevo evitarla) chiedo notizie del vitigno: «Qui ovviamente è tutto Soave, ma anche Durello, e nella vallata a fianco è concessa la DOC di Valpolicella». Vini ampiamente assaggiati nella lussuosa cena del giorno prima, e che oggi in sella gridano vendetta per averne abusato.
Pedaliamo su strade sterrate che si spingono su e giù per i colli che dominano Soave: un tracciato interamente pedalabile, forse qualche “muro” da rapportino, ma nel complesso è terreno per gran pedalatori. Incrociamo qualche trattore che fa la sponda dalle terrazze coltivate alla propria fattoria: i lavori nella vigna non finiscono mai. È il lavoro dell’uomo, è l’amore per la terra, è la tradizione che si compie.
La pioggia promessa da quattro siti meteo non si palesa, ma il panorama dei colli resta velato da una leggera umidità: in lontananza si intravedono rocche e castelli, contrade adagiate in mezzo a filari di vite. E dopo un paio di ore in sella decidiamo che è tempo di mettere le nostre membra sotto il tavolo, perché la Casara ci aspetta con un piatto di formaggi. Giriamo le bici verso un bosco e attacchiamo la stessa discesa che, in una manciata di chilometri, porterà i concorrenti all’arrivo. «La chiamano l’inferno di pietra – mi dice Guido – l’abbiamo introdotta nelle ultime edizioni perché i partecipanti chiedevano di inserire qualche difficoltà …». E la discesa di sassi bianchi e lisci come saponette certo fa pensare agli inferi in terra:
serve tecnica e forza, che dopo cinquanta chilometri non tutti avranno conservato, soprattutto chi pedala in coda col solo obiettivo di arrivare. Le mountain bike che Focus ci ha messo a disposizione, rispondono alla grande. Non bisogna rallentare, serve che la velocità in discesa sia sostenuta e allo stesso tempo controllata. Un attimo di disattenzione, una titubanza e, patapamm, sei per terra. Come è successo a me, grazie al cielo senza danni. Se non fosse per l’umiliante atterraggio, si potrebbe dire una caduta soave.
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