Ho visto gare in tanti continenti, ho partecipato a competizioni in così tante nazioni che la parete del garage in cui ho appeso i pettorali, ormai è piena. Paese che vai, tifo che incontri. Noi diciamo alè alè, a metà della maratona di New York senti cam’on e a volte good job, i nostri cugini francesi prediligono un sensuale bravò, mentre gli scandinavi sono per la sobrietà con heia heia. I russi a Sochi dicevano qualcosa che finiva per … tusha che non ho mai capito cosa volesse dire. Invece qui in Israele l’incitamento diffuso è kadima kadima, letteralmente avanti avanti. Bello, mi piace, è pulito e musicale, un tifo persino armonico e direi poco invasivo (sempre che un incitamento possa non essere tale) che ben si sposa con il clima di Israman, il triathlon sulla lunga e media distanza nel cuneo del Paese che si affaccia a sud sul Mar Rosso, nella città turistica di Eilat. Uno spicchio di mare stretto tra gli storici nemici di Giordania e Egitto, e la presenza di una guerra silenziosa la si avverte dalle postazioni di militari israeliani sparse qui e là, a monitorare i rigurgiti bellicosi dei vicini di casa, ma che sembrano così lontane dalle cronache che spesso siamo abituati a sentire ai nostri telegiornali. In fondo, le parole del sindaco Meir Yitzhah Halevi la dicono lunga sulla voglia di pace di questi abitanti: “Ogni anno abbiamo due sogni: organizzare Israman e sperare nella partecipazione di atleti giordani, egiziani, siriani, iraqueni…”. Il primo lo realizzano da quindici anni, per il secondo ci vorrà ancora del tempo. Intanto, aspettando i triatleti arabi, gli organizzatori di Israman vantano la bellezza di 22 nazioni presenti e, considerando il periodo della stagione e la difficoltà del tracciato, poter schierare oltre 2.500 atleti non è cosa da poco. Gennaio non è certo il mese dove la forma raggiunge il top: molti di noi sono ancora in letargo, se non sportivo almeno di triplice. Io penso che lo sport sia come la frutta di stagione, ogni mese ha il suo, e per me d’inverno c’è la neve, declinata tra sci di fondo e scialpinismo. In primavera si inizia a pedalare, ma gennaio è il mese dei cachi arancioni e di scioline di tenuta. Però non posso lasciarmi sfuggire l’opportunità di essere presente all’Israman, contribuendo alla staffetta “half distance” degli ospiti italiani con la mia scarsa corsa a piedi. Nel nuoto la nostra squadra schiera Marco, un passato da triatleta di alto livello, che ha abbandonato lo sport vissuto in prima persona per portare in giro per il mondo la passione altrui per il triathlon e le maratone. Nonostante i tempi d’oro fossero ormai passati, il “signor” Marchese è uscito dai 1.900 metri del nuoto in 25 minuti, alla faccia del suo “non metto la muta da 15 anni” postato su facebook.  Nel ciclismo il collega di penna Alberto, anche lui con una manciata di chilometri nelle gambe, si è ben difeso su un tracciato di 90 chilometri con la bellezza di quasi 2.000 metri di dislivello (il dislivello nel tracciato lungo di 180 chilometri è da granfondo ciclistica con 3.300 metri!). Complice un guasto meccanico al cambio della bici, Alberto è arrivato in T2 accompagnato dagli organizzatori che lo hanno soccorso, e solo in questo momento è iniziata la mia gara. Un vero calvario al contrario! La frazione di corsa parte dai 650 metri di quota della zona cambio e scende in discesa verso Eliat per una decina di chilometri con pendenze che raggiungono anche il 10% e che hanno messo a dura prova i miei poveri legamenti. Nulla è valso correre con le Hoka che hanno conquistato la ribalta per le loro qualità protettive: al chilometro 11,940 il primo leggero dolore al polpaccio sinistro (distanza certificata dal mio Garmin). Cento metri dopo la prima sosta, 50 metri dopo il secondo massaggio, venti metri ancora per un po’ di stretching, ma dopo 12,200 chilometri la resa. Seduto su un marciapiede aspetto una macchina dell’organizzazione che venga a prendermi e portarmi in hotel. Per la seconda volta in pochi mesi la mestizia del ritiro mi avvolge. Zoppico come non zoppicavo da tempo, e ho la sensazione che questa volta il danno non sia una cosa da poco. Scrivo ad Alex prenotando una Tecar, e mi risponde che cercherà di trovare un buco al rientro in Italia. La doccia in albergo mi aiuta a trovare la condizione psicologica per ragionare su quanto lo sport faccia male. Lo dico sempre dopo gli infortuni: lo sport non fa bene, o meglio, l’attività fisica spinta agli estremi come questa non sono certo che produca effetti benefici sul mio corpo, ma questa è un’altra storia. Una birra nella camera dei compagni di avventura aiuta a smorzare la tristezza, e a dire “L’appuntamento con il traguardo di questa gara è solo rinviato”.

Il giorno dopo è quello delle premiazioni, si incontrano volti che abbiamo visto soffrire con noi e che oggi sono sorridenti e distesi, come quelli di Guy Barnea, Claudio Chiappucci e Haneen Radi. Cosa hanno in comune questi tre? Sono stati protagonisti della Staffetta della Pace che l’organizzatore israeliano ha voluto su idea di Matteo Gerevini di Challenge Venice: due uomini e una donna per tre religioni differenti. Il primo è un olimpionico di nuoto israeliano di fede ebraica, il secondo, inutile sottolinearlo è Il Diablo che in bici dice ancora la sua (“In leggera discesa mi sono andati via, ma solo perché avevano le lenticolari…” confesserà alla fine) e a concludere il trittico la maratoneta Haneen Radi, runner israeliana di religione islamica. Vederli (vincitori) sul palco è segno di speranza per questa terra martoriata, e siccome il lume della pace deve restare acceso, una staffetta analoga verrà riproposta domenica 11 giugno 2017 a Venezia, in occasione della seconda edizione di Challenge Venice.

Qualche metro più avanti  incontro Andrea Cigana e Martina Dogana che hanno conquistato un fantastico secondo posto nell’half distance: lui dietro all’americano Ben Collins , e lei dietro alla ex-modella canadese Jenny Fletcher, che conosco da tempo perché testimonial Santini e collaboratrice nella messa a punto dei body da triathlon per le donne. Con lei ci diamo appuntamento (sportivo, sia chiaro) a Venezia a metà giugno, per il Challenge Venice con cui Israman è gemellato nella combinata TriInvictus. Perché i viaggi non finiscono mai, un po’ come le gare di triathlon.