EROICA OVVERO LA FATICA DI RIDERE, PEDALARE E TANTO ALTRO
Succede che alla fine di un evento faccia fatica a prendere sonno. Dicono sia l’adrenalina, dicono sia la stanchezza, a me pare sia solo la voglia che il sogno a occhi aperti non finisca mai. Ed è esattamente quello che è successo alla Eroica.
Sposti le lenzuola, ti siedi sul bordo del letto, due frustate ai piedi e le ciabatte se ne vanno via. Quando appoggi la testa sul cuscino, è in quel momento che capisci che il weekend si è chiuso. C’è ancora da pensare ai momenti più belli, quelli per cui è valsa la pena andarci in Toscana, fare tutta quella fatica di ridere e pedalare, mangiare e godere, soffrire e gioire. Perché l’Eroica è tutto in quei sei verbi messi lì in fila, nella sequenza che ognuno preferisce, perché tanto cambiando l’ordine delle parole il risultato non cambia.
All’inizio non chiudo gli occhi, li tengo aperti per un po’ e guardo il soffitto come fosse lo schermo del Cinema Capitol, e se mi impegno, sento anche la cinepresa che gira. Che non sia una gara, ormai lo sanno anche i sassi, ma che ogni volta che si avvicina ottobre l’eccitazione sale come dovessimo andare al ballo delle debuttanti, questo non me lo so spiegare. E l’Eroica è esattamente questo, con la settimana che precede l’evento in cui si spendono serate a costruirsi outfit d’antan aprendo i cassetti dei guardaroba delle mamme e dei papà, ma anche dei nonni, ormai spettatori da chissà dove. Assemblare giacche dalle spalle cadenti a pantaloni di velluto costa larga, abbinare tailleur con gonne sotto il ginocchio a collari di pelliccia, incrociare improbabili nodi di cravatta a ricercate coppole di anglosassone fattura, unire maglioncini di cashmere a voluttuosi boa da pitonesse francesi. È la sagra del vintage casalingo. Lo chiamao “effetto Eroica”.
Mi volto sul lato destro, perché prima di addormentarmi devo girarmi almeno un paio di volte, e penso a quell’inglese, fuori dalla Paola a Volpaia che con la sua voce roca gestisce un bar trattoria, e l’inglese che anche lui vuole una foto con noi, e ci lascia con un “hei you, back to the future”. Lì, in quel momento, eravamo già stanchi per esserci tuffati un intero pomeriggio nella Broadway di Gaiole in Chianti, che magari un giorno, lontano dall’Eroica, mi piacerebbe vederla nuda, senza bancarelle di bici arrugginite, cambi Campagnolo da spolverare, magliette mezze tarlate, e senza tutte quelle migliaia di persone che proprio come me, non ce la fanno a stare a casa. Nel villaggio che diventa per un giorno la capitale dell’Impero vintage, ci sono flotte di fotografi che sparano dalla propria reflex centinaia di immagini, e ogni volta che fanno click sperano di vincere il premio della fotografia campione del mondo mondiale. E noi lì in posa per loro, gratuitamente ripagati dalle loro attenzioni.
A volte chiudo le gambe perché mi devo grattare il ginocchio o il polpaccio, ma poi le distendo di nuovo facendo attenzione che le lenzuola si tirino bene bene, e cadano giù dal letto, e penso alla cena della sera prima con una dozzina di amici, nel casale della Poldi e quel ragù comprato giù in piazza a Greve che annega una badilata di tagliatelle buone come solo le tagliatelle al ragù sanno essere. E quella bottiglia di Chianti che sembrava moltiplicarsi ogni volta che il bicchiere tornava trasparente. Che risate. Prenderci in giro, ognuno con i propri difetti che poi diventano pregi sulla bocca altrui, sfotterci in serate come queste è un’arte dello stare insieme. Con i racconti della giornate, come quello delle due inglesine, che poi tanto inglesine non erano, ma si sa che a una certa età (la nostra) l’età (altrui) non conta poi molto, ma questo è un altro discorso. Dicevo, le due inglesine, che passeggiando per Gaiole vedono lo Stegianni (che sembra il nome di un gufo delle Groane) in tutto il suo splendore avvolto nella tuta mistolana color rosso con la scritta G.S. Negrini, fatta da pantaloni aderenti e giacca con piccolo buco sulla spalla, eredità di una tarma impudica: le due Brexit incominciano a sorridere, e il modello della Brianza si mette in posa come un navigato mannequin, spostando l’anca e ammiccando con le labbra alla Belen quando fa i selfie, e le due incominciano a ridere, ma a ridere, ma a ridere e si vede che sono proprio felici tanto che lo Stegianni si vanta ancora adesso che se non ci fossimo stati noi, quelle due… si vabbhé.
Probabilmente sto ridendo, e se rido mentre dormo non riesco più ad addormentarmi, e allora mi giro dall’altra parte, con la testa verso il comodino dove il led del caricatore illumina l’angolo della camera, ma mi viene ancora da ridere quando penso al Jeepy e alla media delle sue gaffe (ne fa una ogni due ore…), e al sarcasmo dell’Andrea (buona spalla dello Stegianni) e ai suoi calzini bianchi che al termine dell’Eroica erano come appena tirati fuori dal cellophane, e alla bici del Bruno che era la bici del suo papà, una Colnago spettacolare che aveva usato anche il Bruno quando era giovane, cioè trent’anni fa, e che da allora non aveva mai più usato e che quasi in discesa gli scoppia un tubolare, cioè un tubolare di trent’anni! E poi gli amici già follower su Facebook beccati in corsa come l’Aldo (il piccolo principe dei videomaker), il Giuseppe (con cui ho condiviso la Chase the Sun) e il suo amico il Mario. E poi la Cristina che, non dovrei dirlo, ma a fine anno compie sessant’anni, che con le trecce bionde ne dimostra un tot di meno. Ma anche i nuovi amici che prima di questa Eroica non sapevano della mia esistenza, come il Damiano (che nel palmares ha anche un Giro d’Italia) e l’Eric (il tedesco che alla Milano San Remo è arrivato quattro volte primo).
Dopo un po’ di volte che mi giro sui fianchi, almeno una passata con la faccia in giù la devo fare, con le mani sotto il cuscino: duro poco perché la schiena duole.
Ma soprattutto questa non è la posizione ideale dopo che hai mangiato una paio di cospicui mestoli di ribollita: quest’anno, e lo dovrò dire agli organizzatori, c’era un po’ troppo pepe, non che i piatti pepati non mi piacciano, è che quando la ribollita è così pungente e saporita, poi mi viene sete e devo bere di più (e lì il Chianti si versa come se piovesse), e questo comporta una sosta più lunga del previsto, con i conseguenti strali del Jeepy che non riesce proprio a capire che l’Eroica per certi versi, sta più nelle soste che non nelle pedalate. Ma vaglielo a spiegare. Anche se poi devo ammettere che ha ragione lui, perché nella discesa verso Gaiole c’è un tratto di un paio di chilometri che sembra una vetrine sull’eden, un trampolino a sfiorare vigne e filari, e noi a filare via, non prima di una foto di noi cinque, con lo sfondo di tre cipressi, maschi anche loro (perché in questo weekend ho imparato che esistono i cipressi maschi e i cipressi femmine, ma questa è un’altra storia).
Dalla pancia in giù alla pancia in su, un 180 gradi che mi sfianca e che è il preludio della profonda caduta nel sonno, potrei alzare le braccia verso lo schermo del Cinema Capitol, come abbiamo fatto nell’arrivo in parata, ma tengo le braccia sotto il piumone, i chilometri si sentono tutti. Non sono chilometri normali, sono chilometri Eroici, in cui si deve ridere e pedalare, mangiare e godere, soffrire e gioire. Basta così per oggi, basta così per quest’anno.
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