RIGERS KADIJA, DALL’ALBANIA A BOA VISTA PASSANDO PER FIRENZE.
La storia del giovane trail runner di origini albanesi che ha chiuso al secondo posto la Boa Vista Ultra Trial 2019 di 150 chilometri
Nonostante siano passati più di vent’anni, il ricordo di quella notte è ancora molto nitido nella sua mente: «Arrivammo a Valona nel pomeriggio e siccome il mare era agitato dovemmo aspettare un giorno e l’indomani ci riunirono tutti e trenta in un capannone. Io ero uno dei pochi bambini e mi spiegarono che la foto di gruppo che ci fecero serviva … ehm, nel caso qualcosa fosse andato».
A raccontare la fuga da Scutari è Rigers Kadija, un ragazzotto dal fisico scolpito dalle gare OCR, quelle prove divertenti dove oltre alla corsa si devono superare ostacoli, pozze di fango, campi con filo spinato, enormi balle di fieno. Seduto nella hall di Ca’Nicola a Sal Rei, il racconto della traversata dell’Adriatico si miscela con quella della Boa Vista Ultra Marathon dove il giovane albanese naturalizzato toscano ha appena chiuso al secondo posto assoluto. Non sembra particolarmente stanco, perché dopo aver completato i 150 chilometri del tracciato tra dune di sabbia e pietraie infinite, Rigers ha ancora l’adrenalina in corpo che lo tiene sveglio e lucido. Anche quando parla del suo diretto avversario, Jailson Manuel Oliveira Duarte di Sao Vicente, che ha vinto in 18h13’, mancando per soli 5 minuti il nuovo record del periplo dell’isola capoverdiana.
A 7 anni Ridjer arriva in Italia con la mamma e la sorellina più piccola di tre anni a bordo di un gommone superpotenziato e raggiungono il padre che da alcuni anni vive a Firenze: «In casa abbiamo sempre parlato albanese per volere dei nonni, così quando tornavamo a trovarli potevamo comunicare con loro» e deve essere simpatico ascoltare la loro lingua originale pennellata di un accento marcatamente toscano da chi vive a Firenze da oltre due decenni.
Indossando la maglia di ‘finisher’ della Boa Vista Ultra Marathon, Rigers racconta i suoi primi rapporti seri con lo sport che li vive alle scuole superiori dove alla prima gara vince i 100 metri piani agli studenteschi provinciali, e qui lo nota un tecnico dell’Assi Giglio Rosso che lo porta per due anni a fare atletica leggera, irrobustendo quel ragazzino gracile che scappò dalla povertà per raggiungere il babbo, come lui stesso lo chiama. Come possa uno sprinter poi diventare un atleta sugli ultratrail lo deve tutto a un amico che lo porta a fare una gara sul Miglio: da cento a 1600 metri il passaggio non sarà facile. «Parto con l’incoscienza del centometrista, e infatti a un terzo di gara mi sorpassano anche persone molto più lente di me… ed è lì che sento scoccare una scintilla». Rigers cambia radicalmente allenamenti per passare al mezzofondo e alle corse podistiche su brevi distanze. Una dimensione diversa che lo affascina e che getta le basi per i suoi attuali successi. Nel frattempo arriva un diploma, un corso di formazione e il lavoro come programmatore informatico e gestore di data base in una software house di Firenze: un lavoro che lo gratifica sempre più, anche se lo sguardo fuori dalla finestra accarezza costantemente le colline toscane, perché è lì che Rigers quando spegne il computer in ufficio, si sente pienamente a suo agio.
Tutto sembra filare liscio tra corse della domenica (dove spesso sale sul gradino più alto del podio) e allenamenti in palestra, fino a quando su Facebook gli appare la pubblicità di una gara il cui nome non può lasciarlo indifferente: Inferno Run. Il passaggio al modulo di iscrizione di una delle gare OCR più importanti nel panorama italiano è immediato: «Conclusi al 19esimo posto e fu subito attrazione fatale». Gli ostacoli, i passaggi di forza, la tecnica di superamento, sembra essere tutto un gioco per Ridjer che come molti dei partecipanti a queste prove, uniscono prove muscolari (l’esibizione del fisico è una costante) al bambino che è rimasto in loro e che non ha mai smesso di giocare. «Andai così bene che mi convocarono agli Europei OCR in Olanda…dove finii decimo della mia categoria». Una buona prova per essere all’esordio, che però da’ al giovane Rigers consapevolezza dei propri mezzi sulla tenuta di testa e sulla forza del fisico nelle prove endurance.
E per migliorare nelle gare ad ostacoli inizia a correre lontano dalle strade, e quelle corse sui sentieri toscani lo portano nelle competizioni OCR alla medaglia d’argento nel campionato italiano assoluto 2017 e terzo classificato nel 2018. Tuttavia, la sirena del Trail è in agguato e senza che se ne accorga lo trascina nel mondo off-road, fino a schierarsi al via della Boa Vista Ultra Trail dopo aver vinto un concorso su Endu, la piattaforma dello sport di resistenza: «Qui a Boa è stata un’esperienza fantastica: correre tra la sabbia del deserto e le onde dell’oceano, tra decine di piste su terra battuta e infiniti rettilinei di pavé, sotto il sole di mezzogiorno come nel freddo della notte. Bellissimo e affascinante». Le sconfitte passate per eccesso di esuberanza hanno insegnato molto a Rigers, che non si è preoccupato della fuga in avanti degli avversari già dai primi chilometri «Tanto c’è la notte….» ci ha risposto a uno dei primi check point. E così è stato, perché il giovane dal doppio passaporto ma dall’anima unica e trasparente, con calma li ha ripresi uno a uno, eccezion fatta per il capoverdiano Jailson che ha dimostrato una superiorità assoluta.
Giunto al traguardo con gli occhi lucidi per una emozione incontenibile, la prima telefonata è stata per Noemi con cui convive da alcuni anni che, come contraltare alla sua smania di correre, sudare, saltare non è per niente sportiva: «Io mi alleno fino a 18 ore la settimana, e lei nulla… ma spesso mi aspetta al traguardo. Ecco, diciamo che ci siamo trovati». E ride.
Ma come si può conciliare un fisico muscolare soprattutto nella parte alta con la necessità di leggerezza di una prova endurance? «Certo, dovrei snellire un po’ braccia e spalle, però ho scoperto che il campione mondiale OCR l’inglese Jonathan Albon ha battuto in un recente trail persino Kilian…quindi un po’ di muscolo qui (indicando le braccia, ndr) non può far male». A 28 anni si è nel pieno della vita ed è naturale avere sogni per il prossimo futuro: «Io ne ho due: aprire una palestra OCR indoor e soprattutto, organizzare un ultratrail sulle montagne albanesi dietro Shkoder, dove sono nato. Forse un giorno, chissà…».
Intanto di questa gara porta a casa fotogrammi di piccoli gesti, che restano indelebili, come quello successo al 55esimo chilometro di gara: «Ero rimasto senza acqua e una volta giunto al check-point di Varadigna vedere come i volontari si sono presi cura di me, riempiendomi la borraccia di acqua, mi ha fatto sentire bene, rassicurato, coccolato». Un frammento di gara che fa da contraltare all’episodio di Coral Veglio, a 75 km, esattamente a metà percorso: «Qui l’imbrunire ha messo in risalto tutta la fatica fatta fin lì e lo sconforto della resa era dietro l’angolo».
All’arrivo nella piazza centrale di Sal Rei, Rigers si gode i caldi raggi del sole equatoriale: la medaglia di terracotta della Boa vista Ultra Marathon gli pende dal collo, la guarda con intima soddisfazione, e per un attimo appoggia le spalle al muro, dove un murales gli tiene compagnia, come se volesse abbracciarlo.
Chissà se il suo pensiero corre a quella sera, quando a soli 7 anni, stretto alla mamma e alla sorellina, il gommone che lo trasportava sbatteva violento sulle onde e sulla sua paura dell’ignoto. No, lo sguardo al passato è solo un racconto da dare in pasto a un cronista: davanti ci sono mille e mille chilometri ancora da correre, e il profumo di Boa Vista da respirare.
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