LA DEA, RADICI GROUP E LA MIA PRIMA VOLTA COL PALLONE
Io lo sapevo che prima o poi sarebbe successo, perché a volte il destino è ineluttabile. Tu cerchi di mantenere la retta via, di essere coerente con i tuoi principi, con la schiena dritta e mai piegarsi alle tentazioni che la vita di propone. No ai piaceri della carne! Per anni ho detto a tutti che io mai, io il calcio neanche a parlarne, io e il pallone siamo due cose diverse. Quel tifo da stadio non mi toccherà mai, anche se poi quando vince la Dea son contento, ma senza gioire, e quando perdono quell’altre due squadre a strisce un po’ ci godo, mentre mi diverte sapere che quell’altra ancora a strisce sembra che spacchi il mondo e poi alla fine, non si sa il perché, si spegne come uno zolfanello tra le dita. Eh già, il calcio è così, non ti può lasciare indifferente, in qualche modo ti tocca. Ti tocca dover stare da una parte, perché non esiste un DNA di un maschio italico che non abbia cromosomi piegati a una squadra di calcio. Impossibile! È contro natura. La neutralità, poi, è ancora peggio di una qualsiasi curva sud: devi essere tifoso, devi far parte del sistema, “tifo ergo sum”. Esisto in quanto sbandiero la mia fede, e non importa quale. Poi ti meno fuori dallo stadio, perché se non sei dalla mia parte sei un mio avversario, anzi no, un mio nemico. Non esiste la neutralità: i corpi avulsi non sono ammessi. E ho così voglia a rispondere, quando mi chiedono per quale squadra tifo, che “no, non mi occupo di sport minori”. È che molti sta battuta che dico da trent’anni, non l’hanno ancora capita.
Io lo sapevo che prima o poi sarebbe successo, e infatti è successo. È successo che l’Atalanta presentasse oggi lo sponsor della maglia per tutti i tornei a cui parteciperà: dal Campionato di Serie A (che orgoglio!) alla Coppa Italia, e persino alla Europa League (straorgoglio, come dicono i millenials di casa mia). E ieri ricevo l’invito dall’efficiente ufficio stampa di Radici Group, un altro orgoglio della mia terra, che in fatto di tecnologia nel mondo tessile, non è seconda a nessuno. Quindi, eccomi qui, all’ottavo piano del Roof Garden con vista su Città Alta (e qui l’orgoglio si innalza) in mezzo a decine di giacche e cravatte, io nei miei jeans sdruciti e in una camicia a quadretti con le maniche tirate su. Sobria eleganza (la loro), elegante sobrietà (la mia). Mettetela come volete, ma qui il dress code detta il comportamento.
Anche un’ora fa sentivo che prima o poi sarebbe successo, quando mi trovavo nel cuore di una presentazione di un’azienda outdoor, con illustri colleghi della stampa in braghini e qualcuno pronto a infilarsi le infradito Havanas. Divertente cambio di proscenio. Esco dall’ascensore e riconosco l’Elisa (gran cerimoniere), vedo il Luca (voce storica di una radio libera che adesso è un network nazionale), c’è anche il Paolo (che era con me all’altra presentazione), l’Emilio (sempre sorridente) e poi c’è la Marisa (che mi ha invitato in quanto ufficio stampa Radici Group) che mentre ci facciamo un selfie, mi descrive l’azienda: l’unica nel panorama internazionale ad avere l’intera filiera, dalla materia prima alla produzione del filato. Sarà, ma per me la Radici è un altro vanto della mia terra. E quando Marisa lo racconta si capisce che è felice di quello che fa.
Che prima o poi sarebbe successo, lo sapevo. Me lo sentivo. E sentivo anche arrivare il momento dei discorsi, prima quello del presidente Percassi, che nell’Atalanta ha giocato quando io andavo alle medie (e me lo ricordo bene), e poi quello di Radici che ha fatto sorridere le giacche e le cravatte: «Sponsorizziamo l’Atalanta così mi diverto, mentre quando guardo la mia Inter rischio di addormentarmi». Ironia bergamasca, sarcasmo orobico. E poi anche Annibale, responsabile di Joma, che dopo due anni di fornitura dell’abbigliamento si dichiara soddisfatto della partnership con l’Atalanta (eh, ci credo… tra campionato ed Europa, una bella visibilità).
E le maglie quando le vediamo? Non fai neanche a tempo a pensarlo che un plotone di 6 ragazzine sbucano in divisa con le varianti colore del caso. Queste sono le uniformi della prossima stagione dell’Atalanta. Prima maglia… seconda maglia… maglia del portiere, e via così. Scatta l’applauso. Le ragazze sorridono, le ginocchia si uniscono in punta di piedi, le schiene si inarcano e i petti esplodono. Tutti col cellulare a fotografar le maglie, sì certo. Percassi in mezzo colpito da cento flash: un po’ si sgomita lì davanti, ma cameramen e fotografi poi trovano il solito tacito accordo. Tempo un paio di minuti e delle maglie nessuno più si cura: sono tutti al il buffet, un capolavoro, e solo questo vale il biglietto. Sorseggio il bollicine e penso: lo sapevo che prima o poi sarebbe successo, e tutto sommato, non è stato neanche tanto male.
Commenti recenti