LA TAPASCIATA, QUESTA SCONOSCIUTA
Se c’è una cosa che mi manda in bestia è arrivare nel parcheggio e vedere che c’è già gente che si cambia per tornare a casa. Ma vacca porca: sono le 8 della domenica mattina e questi hanno già corso. A che ora saranno partiti? E poi perché? Avranno a casa la moglie che li stressa, forse dovranno andare alla Messa delle nove, oppure devono metter su la polenta, perché la polenta a Bergamo è un rito, più ancora che tirar su un muro di mattoni in 20 minuti.
Ecco, l’unica cosa brutta delle tapasciate è questa cosa qui, che tu arrivi anche all’alba e ti senti già in ritardo prima ancora di incominciare. Sta cosa mi mette agitazione, mi stressa. Vabbhè, poi a parte questo, ogni tapasciata è una piccola magia. Si chiude la macchina e si sistemano con cura le chiavi nel taschino dei pantaloncini, mica di perderle che poi è un casino. E via. In mano 4 euro e cinquanta, perché l’iscrizione (con premio) costa uguale in tutte le prove del circuito. Domenica scorsa li avevo contati, ma la volta prima avevo cinque euro, e gli ho lasciato 50 centesimi mica per generosità, è che mi dava fastidio portarmeli in giro. E poi quelli dell’Aido sono brave persone.
AD OSIO SOTTO LA NON COMPETITIVA E’ STORICA
Questa mattina invece i soldi li ho dimenticati a casa: pensavo di averli i 4 euro e mezzo nel posacenere della macchina, lì vicino al cambio, e invece avevo solo spiccioli e un sacco di monetine di nichel. Che rabbia. E che due palle. Alla mattina alle 8, osti! Di domenica, ziopera!
Faccio l’imbucato, e, penso, il prossimo anno (vengo sempre alla tapasciata di Osio Sotto) pagherò doppio. Ok parto, sfioro uno che si sta togliendo la maglietta col bagagliaio aperto, ha le scarpe infangate e schizzi di terra fino alle ginocchia. Mi sa che oggi trovo palta. Vabbhè. Inizio a corricchiare fino alla partenza, mi fermo dopo 200 metri perché vedo un bel marciapiede, uno con la misura giusta per fare stretching ai polpacci. Prima il sinistro, poi il destro, venti secondi in tutto. Pronti via. Il volantino dice: 6, 12, 15 e 20 chilometri. Deciderò il percorso strada facendo: l’idea è di farne una dozzina. Certo, fossi qui col mio socio, magari punteremmo alla 15, ma da solo va a finire che mi rompo. Vabbhè, vedremo. Intanto corro e faccio click sul Garmin, perché sarà anche una tapasciata ma conoscere l’andatura mi aiuta a capire la differenza tra correre, camminare o trascinarsi.
UN SACCO DI SQUADRE
Alle tapasciate ci trovi una umanità varia, e li riconosci dalla divisa che portano. Ci sono quelli magri e secchi, con la canottiera e il nome della società sportiva scritto sopra, che il più delle volte contiene la parola “Atletica” e poi il paese di provenienza, il che denota che è gente che viaggia a 4 al chilometro. Ma come minimo, né. Poi c’è un’altra famiglia di “associati” decisamente più scialli, a partire dal nome del prestigioso sodalizio: gli Stoff, i Fò di Pè, la Michetta. I primi due sono squadre bergamasche, gli altri sono milanesi in trasferta.
Quelli in maggioranza però sono i veri tapascioni: non hanno una età precisa, semmai condividono tra loro le forme generose del girovita. Con le loro Kalenji della Decathlon non hanno proprio una fase di volo ampia e morbida, tanto che la suola quando tocca terra emette un suono via di mezzo tra una frenata e un fischio. Corrono rigorosamente col chiuei (lo so che non si scrive così….e adesso non fate i precisini a farmelo notare), anche nelle tapasciate di luglio, perché oltre che anchilosati, sono anche duri di comprendonio, e non la vogliono capire che se lo usano mentre corrono non-si-di-ma-gri-sceeeee.
La classificazione dei partecipanti prosegue con gli “a spasso col cane”, che spesso è il cane che porta a spasso loro. Ci sono anche quelli che camminano con l’ombrello, perché non si sa mai che viene a piovere. Ultimante si vedono anche quelli con i bastoncini, ma mai nessuno che li sabbia usare correttamente per fare nordic walking. Giovani? Sì, rari, ma presenti: il più delle volte fidanzati.
LE TRE MARIE
Chiudono la sequenza loro, le amiche che in formazione allargata scelgono la tapasciata per chiacchierare in santa pace. Loro sono le Tre Marie. Sono quasi sempre in tre, a volte in quattro, ma l’intrusa è spesso tagliata fuori dal chiacchiericcio. Non corrono, camminano. Non corrono, perché non hanno mai corso in vita loro. Non corrono, ma parlano, tanto. Infatti, il percorso da 6 chilometri è fatto per loro. Indossano dei fuseaux neri: il nero snellisce, ma in molti casi una scelta cromatica non può fare molto contro l’adipe avanzante. Spesso hanno uno zainetto, anche se va detto che negli anni 90 preferivano il marsupio, ma con il passaggio al nuovo millennio la specie si è evoluta. Ma ciò per cui amo incondizionatamente le Tre Marie è il mio incontro con la loro scelta di camminare in formazione compatta e allineata, e questo avviene puntualmente quando la strada si trasforma in sentiero tra i campi, o ciottolato tra i boschi o sterrato in collina. Tutte concentrate nelle loro reciproche confessioni, non mollerebbero la posizione neanche di fronte alla Haka degli All Blacks. Magari se in alcuni tratti si mettessero in fila indiana consentirebbero a me di passare senza lasciare traccia, e soprattutto senza restare ascoltatore passivo di una porzione del loro discorso. “…perché poi il Gianbattista non le aveva detto che faceva tardi al lavoro…”. Intanto rallento e con un colpo di tosse segnalo la mia presenza alle loro spalle, senza far notare che da più di un minuto eravamo Tre Marie e un Gianduiotto. Poi una mi vede e dice: “Giulia spostati, fai passare… quindi lui era ancora in ufficio, ma l’Emilia cosa ha detto al Battista?”.
Tempo dieci minuti e mi trovo un altro nucleo armato di Tre Marie. Stessa scena, stesso copione. “…andavamo là quando c’era ancora mia suocera, ma poi dopo facevamo fatica”…rallentamento, impossibile passare a sinistra, impossibile passare a destra, colpo di tosse e “Spostati Tina, fai passare… quindi siamo tornati in quella osteria dopo dieci anni, perché la suocera è mancata nel 2008…”.
Il posto migliore per superare le Tre Marie è comunque ai ristori: si piazzano davanti al tavolo, ferme, immobili, e con la testa cercano qualcosa che poi è un biscotto e un bicchiere di te caldo. Interrompono le reciproche intime confessioni per interloquire (sto verbo mi fa sentire Primo Ministro) con i volontari del ristoro. Lì bisogna accelerare senza girarsi. Colpire e fuggire. Continuare a correre. Stamattina un plotone autoctono di Tre Marie mi ha apostrofato con un “Bestia se corre sto qua…” e per un secondo me la sono tirata accelerando fino a toccare punte vicine ai cinque al chilometro. In questa sprezzante sgasata ho superato un tapascione sovrappeso con giacca a vento imbottita e ho raggiunto uno magro con la maglietta della Podistica qualche cosa: aveva le gambe magre e pelose. Abbiamo fatto un paio di chilometri insieme, fino a quando siamo arrivati dietro a uno con la maglietta nera con un numero 70.3 e la scritta “finisher”: aveva anche un tatuaggio sul polpaccio che preferisco dimenticare (aveva stilizzato un nuotatore, un ciclista e un podista). Vabbhè.
VOLONTARIO VOLENTIERI
I migliori comunque sono i volontari, per me i numeri uno. Quelli di stamattina erano in divisa, credo fosse dei Carabinieri in pensione. Poi mi sa che c’era anche la Protezione Civile, ma soprattutto c’erano gli Alpini. Quando corro io saluto tutti i volontari, a volte dico anche grazie, grazie perché io sono lì in mutande che mi diverto e loro in piedi con una bandierina e un gilet fosforescente mi stanno regalando la loro domenica mattina. I volontari sono un’istituzione: sono padroni del crocevia a loro assegnato. Se una macchina si avvicina troppo, parte un “oooohhh, alura? Fermes!!” Nemmeno la scorta di Mattarella potrebbe passare da una tapasciata se a presidiare l’incrocio c’è un volontario, meglio Alpino. A loro puoi chiedere “quanto manca?” e stai pur certo che non ci azzeccano mai. I volontari alle Tre Marie danno sempre la balla, fanno un po’ i provoloni, ci provano. Questa mattina un trittico mariano è stato incitato da un Alpino: “Su ragazze, fare andare le gambe oltre che la lingua…”. Risposta delle Tre Marie non riportabile.
Al bivio tra 12 e 15 chilometri giro a destra, faccio il lungo, e ben presto sono all’arrivo. Ristoro, un te caldo e a Osio persino un panino con la salamella alla brace. Sono le 9.34 della domenica mattina. Gli altri vanno a ritirare il sacchetto con l’omaggio, io vado al parcheggio e mi cambio con il bagagliaio aperto: sono pronto ad accendere il motore non prima di rispondere a un paio di ragazzi che stanno cercando un posto auto libero. “Scusi va via?” Faccio cenno di sì. E loro “Ma lei ha già fatto la corsa? Di già?”. Eh sì cacchio, sì, l’ho già fatta. E adesso polenta!!!!!!!
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