NON PATTINI MALE PER ESSERE UN ITALIANO
Una settima prima della Elfstedentocht, la storica gara olandese di pattinaggio su ghiaccio che si svolge ogni anno … in Austria. Sono stato sul Weissensee, il lago ghiacciato in Carinzia che ospita questo folle e straordinario evento popolare. Mi sono divertito come un bambino a Gardaland, e mi hanno fatto anche i complimenti!
Lui: «So, good luck for your race», e io: «Ok, thank you very much». Lo vedo allontanarsi con la stessa velocità con cui una razza, trent’anni fa, scappò da me dopo averla trovata nascosta nel reef corallino dell’oceano Indiano. Mentre guardo quella giacca arancione diventare un puntino sempre piccolo, mi ricordo di non avergli chiesto nemmeno il nome. Così, giusto per sapere come si chiama, o si chiamava, mica per altro. E allora nel mio racconto ghiacciato lo chiamerò Johan, come Johan Cruyff, perché un po’ si somigliano, con quelle gambe lunghe e affusolate, usate a compasso per disegnar geometrie.
Johan l’ho conosciuto dieci minuti fa. Mentre giravo da oltre due ore, vengo superato da un gruppetto composto da pattinatori della stessa società, lo capisco non perché sia particolarmente intelligente, ma perché indossano la stessa divisa di chissà quale città olandese: il dutch è veramente una lingua incomprensibile. Sono una decina, tutti intorno ai 50 anni. Diciamo coetanei al narratore. Pattinano in leggerezza, sciolti, veloci e allo stesso tempo lenti, sicuri ed efficaci. Veloci perché mi raggiungono e mi superano, lenti perché la calma apparente della loro pattinata dimostra l’altra grande qualità: l’efficienza. Ogni colpo di pattino laterale produce una distanza di scivolamento che è quasi il doppio della mia: in altre parole mentre loro scivolano sul ghiaccio del Weissensee spendendo la metà della mia energia, io scavo solchi sulla superficie del lago argentato. È un po’ come quando in piscina vedi quello che fa cento bracciate al secondo e non si muove di un centimetro, una specie di motonave sul Mississippi e tu vorresti fermarti e dargli due dritte, ma poi non lo fai perché in fondo lui mica te lo ha chiesto, e poi si potrebbe offendere, e poi tu chi sei per dar lezioni, e allora fai la tua virata e continui a fare vasche. Ecco, io mi sento un po’ quello lì delle cento bracciate, che se uno di questi dei Paesi Bassi mi fermasse per darmi due dritte, io mica mi offenderei. Anzi.
Ma gli orange non mi filano, sono in fila indiana, uno dietro l’altro a danzare allo stesso ritmo: destro fiuuuhhhh, sinistro fiuuuhhhh, destro fiuuuhhhh, sinistro fiuuuhhhh. Fotografandolo dall’alto, questo gruppetto potrebbe sembrare un bruco che avanza, in attesa di diventar farfalla. Ogni tanto qualcuno caccia fuori la testa dalla linea per scrutare davanti: le crepe del ghiaccio sono trappole per i pattini che se si infilano dentro, si bloccano accidenti, e riuscire a stare in piedi significa disegnare comiche nell’aria. Davanti si danno il cambio, proprio come i ciclisti su strada. La logica la capisco e mi integro al volo, cioè aspetto la coda del gruppo e mi faccio tirare un pochino. In realtà devo vedermela con l’ultimo del gruppo che succhia la scia pur non facendo parte de team: ha la divisa arancione, diversa dal giallo dei dieci del bruco.
Al termine del giro i dieci si fermano per una sosta, mentre io e il mio coinquilino ci ritroviamo a pattinare in due. L’arancione è un colore bello, cromaticamente spacca sullo sfondo tenue del lago ghiacciato, e così decido di accendere la VIRB 360 che ho sulla testa. Johan se ne accorge e mi sorride: «Are you filming…?». E partendo da questa domanda inizierà la nostra amicizia che durerà un giro dell’anello sul Weissensee.
«Ma che ci fa un italiano qui…?» e ride. Si è vero, mi sento un po’ come Chatwin in Che ci faccio qui?, a farmi sverniciare da migliaia di olandesi che si ritrovano in Carinzia per la loro Elfstedentocht, la riedizione della storica gara che in Olanda collegava attraverso canali e laghi ghiacciati le 11 città della Frisia: competizione che non si tiene più a causa del riscaldamento del pianeta. Ma ai tulipani il pattinaggio su ghiaccio è nei cromosomi e quando uno di loro, sul finire degli anni 80, guardando il film 007 – Vendetta Privata (il James Bond dell’epoca era Timothy Dalton) vide la scena dell’inseguimento su un lago ghiacciato, restò fulminato! La legge narra che aspettò i titoli di coda per capire dove due macchine potessero rincorrersi su un così grande spazio, e quando scoprì che la location era il Weissensee, si attivò per farci una pattinata.
Da allora, la valle nell’ovest della Carinzia, per quasi un mese viene letteralmente invasa da migliaia di pattinatori olandesi per la riedizione della Elfestedentocht con dieci giorni di gare in vari formati e diverse distanze, ma la prova principe resta quella di 200 chilometri, tanti erano i km che univano le 11 città della Frisia. Johan pattina a mio fianco, ha le mani dietro la schiena, si muove lentamente ma con grande sicurezza. Evita crepe e buche. Deve essere un amante dell’estetica perché anche il casco ha dettagli in arancione: il total look, che bella roba.
Pattiniamo e chiacchieriamo, ma con la mandibola ghiacciata il mio già sofferente inglese diventa una lingua sconosciuta persino a me. Mi dice che si ferma per tre settimane: «Sì, faccio tutte le mie ferie qui a pattinare». Ti stimo fratello, mi verrebbe voglia di dirgli. Ogni tanto mi incrocio con Johan per superare famiglie ferme sul lago mentre portano a spasso passeggini con dentro nani infreddoliti, oppure per evitare gruppetti di amici che con bastoni di hockey si passano un dischetto nero, e poi ci sono le coppiette che si sbaciucchiano e qualcuna che limona: questi ultimi sono i più pericolosi perché ti distraggono.
Le prime due settimane Johan si allena, poi inizia il festival Elfstedentocht e mi dice ha intenzione di partecipare a due forse tre gare: «Farai la 200 km…?». E lui: «Naturalmente» e sorride, come a dire “vengo fin qui per fare meno secondo te, eh?”. In effetti dovrei stare prudente, non si sa mai con chi hai a che fare, magari scopri che questo ha vinto sei o sette medaglie mondiali e io gli davo dell’amatore. Occhio Brena a come ti muovi. Recupero con un «Ah, …io faccio la 100 tra due martedì». Mi sento un po’ sfigato di fronte a tanta potenza e maestria, e lui per togliermi dall’imbarazzo: «Cool» col pollice in su. Intanto al centro dell’anello, un paio di piccole ruspe spazzano la neve caduta in questi giorni così da disegnare il tracciato a serpentina di una dozzina di chilometri per le gare Elfstedentocht in programma: la lama sul suolo produce un rumore metallico, mentre tutte le volte penso chissà se il ghiaccio supporta il peso. Chissà.
A metà del giro, rallentiamo per una curva a gomito e lì Johan, preso da un moto di compassione, fa quello che vorrei fare quando sono in piscina con il mulino delle cento bracciate: il maestrino! Mi ferma e mi dice: «Se vuoi ti posso dare qualche consiglio…». Ma che scherzi? Al volo, penso. Mi dice che non pattino male, ma che devo spostare di più il peso del corpo sul pattino, mantenendo la centralità tra un colpo e l’altro, e poi un sacco di altre cose che non sto qui a dire. Tempo 5 minuti e ripartiamo: io davanti e lui dietro. Applico tutto quello che mi ha detto, o quanto meno credo di farlo. Lui ogni tanto dice cose tipo «Good… yes… that’s right…ochei…». La mia autostima sale con le stesse pendenze del Mortirolo.
«Non pattini male per essere un italiano» e ridiamo entrambi.
Dopo centro metri Johan mi dice: «So, good luck for your race», e io: «Ok, thank you very much». Lo vedo allontanarsi con la stessa velocità con cui una razza, trent’anni fa, scappò da me dopo averla trovata nascosta nel reef corallino dell’oceano Indiano.
Mi sa che questo però l’ho già detto.
.
.
.
#weissensee #weissenseeNL #elfstedendocht #carinzia #kaernten #iceskating #pattinaggiodivelocità #garmin #virb360 #briko #pegaso
Commenti recenti