NON UNA SEMPLICE BICICLETTA
Ho sempre pensato che viaggiare fosse l’unico modo per fare la migliore collezione di emozioni, cioè quell’insieme di cose che ti fanno mettere la freccia e passare sulla corsia di sorpasso della vita. Poi ci sono un sacco di altre cose che mi piacciono del viaggio, tipo il sapere e la conoscenza, meglio se di persona. E poi viaggiare è fare domande, è l’espressione della curiosità.
Tutto ‘sto pippone per dire che viaggiare mi piace, soprattutto se il viaggio è con una bicicletta. Onestamente non so che cosa mi attrae in una bici, forse è qualcosa che ha origine nella mia infanzia.
Io sono nato e cresciuto alla Martinella, la periferia di Redona, cioè il quartiere più periferico della mia città. Dove sono nato io c’era una fila di case in mezzo a dei campi. Intorno il nulla. Era un posto così fuori mano che per anni ha furoreggiato un sex shop: un luogo discreto per acquisti non confessabili. Alla Martinella, ma ci pensi? Pieno di anziane timorate di Dio, un negozio dei piaceri di plastica. Se ci penso sono cresciuto ai margini della società: là c’erano palazzi e condomini, c’era la vita, e da me invece campi coltivati per foraggio e qualche macchina che si fermava per un VHS hard.
Per raggiungere la vita, ovvero l’oratorio di Redona, all’inizio ci andavo a piedi, venti minuti di camminata, ma poi, come d’incanto si era palesata una bicicletta. Tutta scassata ma mi ha cambiato la vita: in 5 minuti ero all’oratorio. Dopo un po’ però sono io che voglio cambiare la bicicletta. A Natale, con le mance degli zii, mi voglio comprare una Saltafoss, la bici dei sogni di ogni bambino degli anni 70, la bici da cross biammortizzata, col sellino lungo e le “marce” sul canotto. Bella da impazzire! Nel negozio però mia madre pone il veto: «Costa troppo, se compri quella Legnano lì, invece, risparmiamo un po’ di soldi per comprarti dei pantaloni nuovi». La Legnano rossa ha due molle finte sugli steli della forcella a simulare una immaginaria presenza di ammortizzatori: quelle due spirali di metallo sono una menzogna da mostrare al mondo, un “vorrei ma non posso” che non ho mai accettato, anche perché io i soldi per la Saltafoss ce li avevo.
Lo dico: oggi sarei una persona non migliore ma certamente meno problematica se avessi posseduto quella Saltafoss dei miei sogni che avrei scelto nel colore verde metallizzato, col sellino lungo di finta pelle nera e il cambio (aveva il soffietto elastico e il pomello nero) sul canotto, magari un po’ scomodo a cambiare rapporti…ma, vuoi mettere? A mia madre non l’ho mai detto, ma quel ‘no’ mi ha traumatizzato. Ancora oggi ne pago le conseguenze.
Lo psicologo dice che si intuisce il trauma da quello che scrivo.
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